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Una perla delle Antille

DiDaniele Lugli

Lug 19, 2021
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Questa volta è meno grave: uccisione del Presidente Jovenel Moïse. Si è detto di complotto interno-internazionale, di regolamento di conti criminale per il controllo della droga e/o dell’importazione del petrolio. Pare sia stato solo un modo per smuovere un sistema politico bloccato. Lo avrebbe organizzato un medico haitiano, rientrato apposta dagli Stati Uniti. L’idea sarebbe stata di arrestare il Presidente e di insediarsi al suo posto, magari rinnovando i fasti di un altro medico, Papa Doc. All’accusa i sospetti ammettono di essersi riuniti, ma non per tramare l’assassinio del presidente. Gli incontri avevano lo scopo di preparare un governo una volta che il presidente si fosse dimesso.

Il Presidente è stato ucciso e la moglie gravemente ferita, non tanto da non impegnarsi a proseguire l’attività del defunto. Lo stesso pensano di fare sia il primo ministro ad interim che il primo ministro designato dal presidente, pochi giorni prima di morire. Il vertice politico si presenta dunque instabile. Deputati e senatori sono decaduti. Confusa e pure la situazione del paese nel quale si confrontano feroci bande armate. C’è chi chiede l’intervento degli USA e chi intanto cerca asilo politico presso il consolato.

Haiti ha conosciuto regimi politici più stabili nel secolo passato, come l‘occupazione Usa dal 1915 al 1934. Nel dopo guerra, tra giunte militari e presidenti di breve durata o esiliati al termine del mandato, si arriva ai Duvalier padre (1957-1971) e figlio (1971-1986), Papa Doc e Bébé Doc, dittatori ladri e sanguinari, bastioni dell’anticomunismo e come tali protetti contro il pericolo cubano. Alex von Tunzelmann ha descritto questa storia in Red Heat: Conspiracy, Murder and the Cold War in the Caribbean. Secondo lei, trovo in un’intervista sul Guardian, “La guerra segreta nei Caraibi ha distrutto ogni speranza di libertà e democrazia a Cuba, Haiti e nella Repubblica Dominicana. Ha rovesciato le democrazie. Ha sostenuto i dittatori. Ha autorizzato i peggiori eccessi di quei dittatori. Ha finanziato il terrorismo. Ha istituito squadroni della morte. Ha trasformato Cuba in comunista e l’ha mantenuta per mezzo secolo. Ha fatto danni enormi e permanenti alla reputazione degli Stati Uniti. Ha quasi innescato un olocausto nucleare”. Quando i dittatori alleati sono diventati scomodi li ha eliminati, come il dominicano Trujillo, non prima che avesse fatto stuprare, torturare, massacrare le tre sorelle Mirabal oppositrici del regime. Era il 25 novembre 1960 e in loro onore in quella data è fissata la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Questa volta CIA e dintorni non sarebbero protagonisti. Lo sarebbero direttamente, con l’ambizioso haitiano, gli imprenditori contraenti un preciso programma. Secondo una ricostruzione del Washington Post, tra maggio e giugno a “Fort Lauderdale, in Florida, ha preso forma una visione per salvare Haiti“.

Con 83 miliardi di dollari Haiti sarebbe stata dotata di strade, reti elettriche, porti marittimi e aeroporti. Christian Emmanuel Sanon, pastore, medico e filantropo, una volta Presidente, avrebbe saputo compensare i sostenitori, in particolare un finanziere della Florida, che investe in infrastrutture e il responsabile di una società di sicurezza privata. Prospettive miliardarie dunque con il modesto anticipo a Sanon: 860 mila dollari “per munizioni, attrezzature, trasporto e alloggi per il personale”. Sarebbero questi i giovani colombiani. Il Presidente non doveva essere ucciso, ma costretto, con adeguate pressioni, alle dimissioni.

Quello dell’instabilità politica sembra il problema minore per il paese più povero delle Americhe, con una spaventosa mortalità infantile e un terzo degli abitanti – nella maggioranza non hanno a disposizione due dollari al giorno – analfabeta. La Repubblica Dominicana, che con Haiti, occupa l’isola Hispaniola, al confronto appare un paradiso. È una povertà che ha radici antiche. Sempre secondo la Tunzelmann, leggo sul Post “Per trovare i soldi da girare ai francesi, il governo si indebitò con banche americane, tedesche e francesi con interessi enormi. Ai primi del Novecento Haiti versava circa l’80 per cento del suo bilancio alla Francia, cosa che ribaltò l’economia locale. Nel momento in cui il governo finì di pagare la Francia e gli interessi alle banche, il paese era completamente svuotato e sommerso da altri debiti. Intere generazioni di leader rinunciarono a risolvere i problemi del paese e si dedicarono invece all’arricchimento personale”. Di quanto costò ad Haiti l’indipendenza e l’abolizione della schiavitù qualcosa ho già scritto. Il paese campa di elemosina e campa pure male. I suoi padroni si arricchiscono a dismisura.

Non solo la politica, pure la terra è instabile ad Haiti. Nel 2010 un gravissimo terremoto distrugge gran parte della capitale, con 300 mila vittime, 350 mila feriti e più di un milione e mezzo di profughi. È un tremendo goudougoudou per dirla in creolo. Il successivo intervento umanitario dell’ONU provoca un’epidemia di colera con migliaia di morti. C’è pure una breve, costosissima, missione italiana di soccorso, la White Crane, ovvero Gru bianca, che almeno non dovrebbe aver fatto danni. Uragani devastanti colpiscono l’isola. Particolarmente violento è quello del 2016 con migliaia di vittime e ogni tipo di distruzione. Un documentario recente ci parla di questi aspetti.

Sembra che il paese sia in una spirale perversa e senza speranza. Certo non saranno gli aiuti, pur necessari per garantire la sopravvivenza, a essere risolutivi. Gli haitiani più consapevoli lo sanno bene. Raoul Peck lo spiega nel suo documentario dal titolo significativo Assistance Mortelle. Ha voluto che Haiti, i diretti interessati, raccontassero la propria storia.

Avere una narrazione emancipata dagli interessi dominanti è importante, ma è decisivo prendere in mano il proprio destino. È compito di quel tanto di società civile haitiana che, tra popolazione presente ed emigrati, pure esiste. Un primo passo è disarmare le bande criminali, che spadroneggiano, terrorizzano, rapiscono a scopo di riscatto. Non era una priorità per il Presidente ucciso, difeso da una propria milizia. Non lo è stato per chi è intervenuto dall’esterno nella vita del paese. Haiti è stata famosa per l’emancipazione della sua gente dalla schiavitù. Ha ora un compito di liberazione dal bisogno e dall’oppressione non meno rilevante. Questo è un obiettivo che merita impegno e aiuto da parte di tutti.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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