• 6 Luglio 2024 9:32

Verbi della politica

DiDaniele Lugli

Mar 8, 2020

Funzionario e amministratore vedevo il furore con il quale si costruivano strade e si appaltavano manutenzioni. Sembrava – forse è ancora così, ma da tempo non me ne occupo – che l’aspirazione fosse asfaltare l’intero territorio, nella parte non già costruita, farne una grande pista di autoscontro. Negli anni è diventato comune l’uso figurato di asfaltare: umiliare, annichilire, distruggere l’avversario. Dalle competizioni sportive è passato alla politica, un’altra branca dello spettacolo. Il galateo prima suggerisce di bacchettare, altro verbo che ha trovato terreno fertile nel gergo politico. Se bacchettare non basta, potendo, si asfalta. In una decina d’anni il suo uso in politica si è molto diffuso. Se ne sentiva il bisogno.

Riformare è dar nuova forma, diversa e migliore. Indicava un tempo una tensione verso il miglioramento. Magari non veniva. L’intento era però modificare l’ordinamento politico-sociale attraverso organiche, graduali riforme. Ricordo appassionati dibattiti. Occorrono riforme di struttura (pubblicizzazioni, programmazione, diritti civili, servizi conformi a Costituzione) o piuttosto riforme “grano”, più scuole, case, ospedali… Da anni invece basta la parola “riformare” – Costituzione, giustizia, lavoro, pensioni, sanità, scuola – per indurci a fare scongiuri.

Rottamare quand’ero giovane non si diceva. Rottame sì, ma rottamare no. Rottamare e rottamazione si sono usati poi nel senso di smantellare macchinari di ogni genere, con recupero di parti utilizzabili, o anche di sostituire un’autovettura con altra più moderna. Rottamare viene quindi a significare abbandono, superamento. Con il nuovo millennio indica l’intenzione di liberarsi di chi è da troppo in politica. Chi evidenzia l’esigenza e si impegna particolarmente viene chiamato rottamatore. È un nuovo sostantivo per uomini nuovi, stanchi di aspettare il loro momento.

Rubare è appropriarsi, impadronirsi in modi illeciti di cose non tue. Vari reati sono previsti, come furto, truffa, frode, peculato, prevaricazione, abigeato… C’è pure un comandamento apposito. Fa piacere che l’etimologia rimandi al germanico raubôn, visto che sono gli italiani a essere più descritti come ladri. Anche i politici, dandosene l’opportunità, spesso rubano, nelle forme per loro più opportune. La cosa prende sovente la forma di pizzo, se la prepotenza è privata, di tangente se è pubblica. Almeno tangente è latino. Vuol dire toccare, metter le mani sopra e dunque anche rubare. Anni fa Milano, Capitale morale d’Italia, si scoprì Città delle tangenti: Tangentopoli. L’attributo vale per la nazione e risulta tuttora ben meritato. Non è una novità

Ruspare viene dal latino. È intransitivo: le galline ruspano – rastrellano, raspano, razzolano – in cerca di cibo. La ruspa, con i figli piccoli, la facevamo anche noi raccogliendo le castagne cadute sull’Appennino. È pure transitivo: lavorare con l’escavatore, la ruspa, il terreno per trasportarlo, pareggiarlo. In politica si usa nei confronti dei campi dei nomadi, così detti perché stanno sempre lì, fermi e non hanno posti migliori dove andare. In questo caso oltre a pareggiare e sgombrare il terreno il ruspante ottiene quel che più gli interessa, consenso e voti. È sempre un piacere constatare che c’è chi sta peggio di te e che viene punito.

Selfiare/Selfiarsi fare/farsi selfie, fotografarsi da sé e condividere in rete. Selfie è parola recente. Viene dall’inglese. Nasce nel web e nei social, mi si dice. Si usa al maschile e pure al femminile, ma il maschile prevale. Machismo del selfie. In politica è fotografarsi da sé, ma il più vicino possibile, guancia a guancia, al leader pronuncia lider, non lader – amato. È importante che tutti e presto lo vedano. È un’intimità da conservare e condividere. Non è l’autoscatto della macchina fotografica. Ragazzo andavo in montagna e conquistavo con lo zio una vetta. La sua macchina veniva posta su un sasso opportunamente. Dopo avermi inquadrato mi raggiungeva in tempo per essere ritratti assieme.

La prima e la terza parola sono entrati facilmente nel lessico con i loro nuovi significati. Ne è stato sponsor efficace un Matteo uso a sciacquare i panni in Arno, per essere precisi a Rignano sull’Arno. Le ultime due parole hanno avuto come instancabile diffusore l’altro Matteo, il truce, altrettanto arrogante, ma meno elegante nell’eloquio. Forse anche da ciò incertezze sulle forme transitive o intransitive. La seconda e la quarta parola hanno troppi padri e attivisti, passati e presenti, per poterli citare.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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