Come noto, il giorno dopo la dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per l’epidemia di Covid-19 (il cosiddetto nuovo coronavirus) da parte dell’Organizzazione mondiale per la Sanità, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha deliberato lo “stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, con un provvedimento fondato sull’esercizio dei poteri in materia di protezione civile previsti dal d.lgs 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della protezione civile), che, all’articolo 24 disciplina lo “stato di emergenza di rilievo nazionale”.
“I virus possono avere conseguenze più forti di ogni azione terroristica”.
Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, 11 febbraio 2020
La dichiarazione di stato di emergenza prevede la possibilità di derogare alla legislazione vigente fermo restando il “rispetto dei principi generali dell’ordinamento“; le ordinanze di protezione civile emesse nell’ambito di uno stato di emergenza di rilievo nazionale, ai sensi dell’articolo 25, comma 1, d.lgs 1/2018 possono essere adottate “in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea”.
Su questa base sono poi stati emanati i veri decreti del presidente del consiglio dei ministri (DPCM), che – con qualche colpevole imprecisione – hanno adottato le misure ritenute idonee a contenere l’evento emergenziale: alcune di queste misure, laddove impattanti su tutto il territorio nazionale e che sono indirizzate a tutta la popolazione (a partire dal DPCM del 9 marzo 2020) hanno impattato pesantemente su diritti costituzionali (o diritti fondamentali).
Parliamo della libertà personale (art. 13), della libertà di circolazione, soggiorno ed espatrio (articolo 16 della Costituzione); di riunione (articolo 17 della Costituzione); di esercizio dei culti religiosi (articolo 19); di insegnamento (articolo 33); su garanzia e obbligo di istruzione (articolo 34). Le misure di contenimento possono incidere poi sulla libertà di iniziativa economica (articolo 41, primo comma); altri diritti potranno essere limitati in un vicino futuro, come ad es. il diritto alla riservatezza, diritto all’identità personale, diritto alla protezione dei dati personali (artt. 2, 3, 13, 14, 15, 21, laddove si ipotizza un geotracking per sorvegliare la popolazione).
Alcuni di questi diritti costituiscono senz’altro principi fondamentali dell’ordinamento, e possono quindi essere temporaneamente limitati ma mai (nemmeno implicitamente) abrogati; molti trovano esatta corrispondenza anche nelle carte sovranazionali, sia dell’Unione europea che mondiali.
Naturalmente si ritiene che il bilanciamento dei beni costituzionalmente rilevanti abbia come parametro l’articolo 32 della Costituzione: la norma costituzionale indica la tutela della salute come “fondamentale diritto dell’individuo” che tuttavia va in qualche modo contemperata con “l’interesse della collettività”.
Fino a che punto si può però spingere il “bilanciamento”, cioè il sacrificio di diritti costituzionali in nome della pretesa tutela della salute collettiva?
I diritti fondamentali valgono anche (e soprattutto) nell’emergenza.
Il tema ci deve interrogare: anche a livello internazionale si è ritenuto di evidenziare un possibile abuso dello stato di emergenza, ad esempio per silenziare oppositori politici (cfr. Doug Rutzen and Nikhil Dutta, “Pandemics and Human Rights”, 12 marzo 2020).
Ma anche senza voler arrivare alla strumentalizzazione palese, oltre 15 esperti delle Nazioni Unite nella dichiarazione “COVID19: States should not abuse emergency measures to suppress human rights” hanno espresso preoccupazione per l’impatto non giustificato sui diritti fondamentali di regole emergenziali sproporzionate, evidenziando che “to prevent such excessive powers to become hardwired into legal and political systems, restrictions should be narrowly tailored and should be the least intrusive means to protect public health”; hanno oltre incoraggiato gli Stati “to remain steadfast in maintaining a human rights-based approach to regulating this pandemic, in order to facilitate the emergence of healthy societies with rule of law and human rights protections“; del resto, fin dal 1984 gli esperti della International Commission of Jurists ICJ stabilirono i cd. Siracusa principles on the Limitation and Derogation of Provisions in the International Covenant on Civil and Political Rights nell’intento di ridurre possibili abusi insiti nelle dichiarazioni di emergenza e relative deroghe ai diritti fondamentali.
Già, perchè le regole valgono anche, o forse soprattutto, nelle emergenze, e una deroga dovuta ad una situazione emergenziale rischia di introdurre il deleterio pensiero che, tutto sommato, i diritti fondamentali siano a disposizione delle autorità a seconda delle esigenze, e che quindi la loro portata sia sminuita anche in contesti di normalità.
Qualche costituzionalista ha segnalato la criticità degli strumento normativo adottato, quello di un decreto del presidente del governo, collocato in una zona grigia tra atto politico ed atto amministrativo, sostanzialmente dunque inoppugnabile nel merito e slegato dal controllo di Parlamento, Presidente della Repubblica e della stessa Corte Costituzionale.
Ma a preoccupare ancora di più è l’interpretazione “autentica” del Volksgeist italico: dall’alto delle bacheche dei social, novelle Gazzette Ufficiali, il popolo non ha tardato di conferire ai testi originari una vulgata diversa dall’originale.
Ma anche le autorità preposte al controllo – che stanno adottando atteggiamenti ben più rigorosi di quelli consigliati dal Ministero dell’Interno – e persino alcuni rappresentanti degli enti locali hanno preteso di sostituirsi agli organi dello Stato, adottando comportamenti o disponendo provvedimenti non interpretativi, attuativi, esecutivi o integrativi degli atti emanati, ma molto più restrittivi (si veda ad esempio il tema della attività motoria all’aperto, consentita in quanto “necessità” dalla circolare del Ministero dell’Interno ma negata da molti).
Il tutto, naturalmente condito dal plauso del popolo social, autoproclamatosi massimo esperto di epidemiologia, plauso motivato ancora una volta dalla cattiveria, diventata secondo il rapporto CENSIS 2018 “la leva cinica di un presunto riscatto”, e che “si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare”, gettando l’Italia in preda al “sovranismo psichico”, viatico di atteggiamenti che “talvolta assum(ono) i profili paranoici della caccia al capro espiatorio”.
Ma dobbiamo dirlo con chiarezza: un diritto che dipende dal beneplacito dell’autorità non è un diritto, è un favore, una concessione, nulla più: e a chi accetta tale impostazione sulle ali della paura, andrebbe ricordato che secondo Zygmunt Bauman, autorevole studioso della post modernità, “la paura è gemello siamese del male“.
La paura rischia quindi di accettare compromessi che semplicemente non possono essere accettati, pena la trasformazione dello stato di diritto.
Spetta dunque a tutti noi non consentire che vengano abbassate le difese immunitarie della Costituzione, per evitare che nell’organismo indebolito della democrazia parlamentare e della rule of law possano insinuarsi patogeni esterni che speravamo sconfitti da un pezzo, ma che invece si sono rafforzati più che mai.
La soluzione quindi non sta nell’individualismo, nel sovranismo, nell’egoismo, ma nella solidarietà: dalle emergenze si esce facendo rete, anche riscoprendo il valore di comunità (come dimostrano le iniziative di flash mob di queste ore), e soprattutto rispettando le regole, che valgono come detto anche ed anzi soprattutto nei momenti di emergenza. Peraltro, poi, con quale legittimità invochiamo aiuti dall’Europa se rifiutiamo, o minacciamo di rifiutare, di dare assistenza ai nostri connazionali (come incredibilmente è successo in Trentino, terra con forti tradizioni di solidarietà)?
Qualcuno potrebbe infatti esser tentato di considerare ogni critica disfattismo; e qualcuno si chiederà che male ci sia nell’imporre comportamenti che qualcuno ritiene possano comunque avere una qualche utilità ai fini di contenere il contagio?
Evil and fear are Siamese twins.
Zygmunt Bauman
Nulla contro i comportamenti prudenziali, auto responsabili, solidali e rispettosi di chi in questo momento di emergenza deve gestire o lavorare in una sanità pubblica incrinata dalle riforme sempre più tese al profitto di pochi. Anzi: il cambiamento (si spera: in meglio) deve partire dal basso, cioè da ognuno di noi.
Il problema si pone quando questi comportamenti, invece di essere incoraggiati e quindi adottati su base volontaria, vengono imposti senza alcuna base legale: c’è un limite all’approccio sostanzialistico del diritto, e si chiama rispetto dello Stato liberale di diritto.
I cui principi chiedono che sia il potere legislativo ad emanare le norme, il potere esecutivo ad assicurarne il rispetto, e a quello giudiziario a risolvere eventuali controversie, che non vi possano essere sanzioni se non nei casi previsti dalla legge, senza scorciatoie basate sull’asserito bene comune.
Conte deve assolutamente ubbidire alle varie lobbi che le tracciano il sentiero, e il burocratese fa il resto di suo c’è poco o niente