« Eravamo inquieti.» Così esordisce Tito, in risposta alla mia domanda sul perché hanno cominciato la loro esperienza all’Arca.
Le interviste non si adattano ai racconti di vita, penso mentre ascolto; ho quasi l’impressione di tradire la storia che chiedo, non appena avvicino la mano alla penna per prendere appunti. Così cerco di immergermi, memorizzare e ricordare impressioni. Negli anni ’80 Laura tornava dalla Comunità della Fleyssière, raccontava le sue esperienze nella parrocchia di Santi Pietro e Paolo a Catania, frequentando Giulia, Antonio, Rino; Tito e Nella sono arrivati poco dopo e rimasti molto a lungo. Per circa un decennio ci si incontrava nei saloni parrocchiali e nelle case per leggere Lanza del Vasto e farsene ispirare; come sappiamo si tratta di un autore che invita cambiamenti di stile, e cambiare stile di vita è ciò che insieme hanno cercato negli anni, peregrinando tra l’Arca francese, Toffia romana e le pendici dell’Etna, sorretti e accompagnati a tratti da diocesi e fraternità, come Annibale, Loredana, Enzo e Maria…….. Se i luoghi cambiano, ciò che permane è «la vocazione a stare con le persone», oltre l’idealità dei principi. Questa vocazione la tocchiamo con mano, Paola ed io, ospiti di un vorticoso affetto di famiglia. Gli impegni sono molti, noi cerchiamo di occupare poco spazio e altrettanto poco tempo, quanto basta per ammirare l’oliveto, l’orto aromatico, visitare il laboratorio, condividere il pasto.
Dopo la dismissione dell’Ordine e della relativa divisione in Compagni ed Alleati, sembra che a fare l’Arca sia oggi l’essenziale: « La conoscenza, il possesso e il dono di sé», una « ricerca di verità seria» e una certa tendenza ad essere –non per contrarietà ma per reale differenza- « in contrapposizione al mondo corrente.» Il mondo corrente, mondo che corre in una direzione, si accosta a quello invisibile, che corre forse anche lui, ma corre contro corrente, come potrebbe ricordare Paolo: essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile.[1]
E prima di correre, noi a recuperare il ritorno in corriera, raccogliamo il ricordo di Padre Greco, che abitava i sobborghi di Catania, e pure controcorrente si guadagnava il pane lavorando come fabbro (rinunciando alle offerte degli assidui) e il pane celeste dormendo con la porta aperta, per accogliere chi lo cercasse a ogni ora.
Fatico a scrivere, penna e tastiera non possono davvero descrivere l’invisibile; perché d’invisibile si tratta, magari senza saperlo, nell’inconsapevolezza della caccia ai luoghi. Sfoglio con serena pigrizia gli appunti che non sto prendendo, mentre Laura ci accarezza con le sue parole: « Io che simpatizzavo per le brigate rosse … Ecco se ripenso a tutti questi anni, all’Arca, a noi … Non abbiamo fatto niente di speciale. Tutt’al più possiamo dire di aver ottenuto una piccola conquista: vedere ora le cose in maniera diversa.»
Dov’è oggi l’Arca? Dov’è la chiesa? Dov’è la nonviolenza? Raccolgo in intima certezza l’insoddisfazione di ogni possibile risposta giornalistica; scrivo nell’ultima pagina del mio taccuino, ormai del tutto immaginario: non ci sono più.
Non nel visibile, è chiaro.
[1]1Cor, 9
* in servizio civile presso il Movimento Nonviolento