Al mare non leggo giornali. La tele con intermittente funzionamento mi consente di seguire il Giro d’Italia. Tuttavia mi giungono commenti sulla guerra in Ucraina “senza se e senza ma”, talora argomentati, spesso deliranti. Ho imparato che de-lirare è uscire dalla lira, il terreno compreso tra i due solchi. È dunque uscire dal seminato della ragione, mi insegna Bodei. Accade anche a chi, uscito dal seminario, spiega al Papa la giusta posizione da tenere. Particolare attenzione è dedicata ai pacifisti, cosiddetti o sedicenti, smascherati. Per non parlare degli insidiosi nonviolenti. Nelle descrizioni mi appaiono irriconoscibili. E sì che dovrei intendermene. Non perché io sia nonviolento. Capitini dice di non dirci mai nonviolenti: «Vi troverebbero mille difetti; ditevi amici della nonviolenza». Io al più sono amico delle amiche e degli amici della nonviolenza. Molti ne ho conosciuti, a partire da Capitini, e ne conosco. Sono impegnati al massimo nella tutela delle vittime. Particolarmente eroici quelli che operano in Ucraina e non da ora. Nell’indifferenza internazionale hanno cercato di opporsi a una guerra interna presente da otto anni. Molta stima ho per obiettori e disertori russi. Chi si richiama alla nonviolenza sa che prioritario è fermare la guerra, madre di tutte le angosce comuni: morte, dolore, malattia, abbandono, povertà, violenza. Sa che armi e più armi vanno in direzione inversa. I nonviolenti non dimenticano l’obiettivo del disarmo. Anche unilaterale: qualcuno l’esempio dovrà pur darlo!
La guerra mostra il limite dell’osservazione di Eraclito “solo i cani hanno l’abitudine di abbaiare a chiunque non conoscono”. Lo fanno pure gli uomini che aggrediscono anche conoscenti e fratelli, da Caino in poi. Così fanno i russi protestandosi assieme fratelli degli ucraini. I due capipopolo si chiamano entrambi Vladimiro (Vladimir Putin, Volodymyr Zelensky). Mi ricordano un altro fratricidio, fondante la nostra storia, nei versi di Pascarella. “Che fu brutta! Lo so. J’era fratello! Però pure nojantri lo sapemo Quante vorte je disse: Fermo Remo! Fermete! Stette fermo! E invece quello, Bisogna proprio di’ senza cervello, Je seguitava peggio a fa’ lo scemo Fino a quer punto de ‘riva’a lo stremo De fallo compari’come er zimbello; E allora, se capisce, abbozza abbozza, Per quanto quello avesse sopportato, Quell’antro daje sotto, e, ingozza ingozza, Venne l’ora der giorno che successe Quello che insomma, via, sarebbe stato Mejo per tutti che nun succedesse”.
Basta mettere Volody al posto di Remo ed è un’ottima versione per grandi e piccini del racconto che fa Vladi di quel che è avvenuto, delle provocazioni pazientemente incassate e della necessaria reazione. C’è perfino un rammarico che nella narrazione putiniana manca. Sarebbe un progresso.
P.S. So che bisognerebbe metterlo in premessa, ma lo scrivo qui. Distinguo perfettamente aggressori e aggrediti, carnefici e vittime. Un amico cita con approvazione un bravo giornalista, Ezio Mauro: “Tra il valore della non violenza e la difesa della democrazia non abbiamo scelta”.
Della non violenza non so. La nonviolenza invece è necessaria aggiunta alla democrazia perché raggiunga i suoi obiettivi di liberazione
(vigna di Mauro Biani)