La guerra in corso in Europa ha cessato di occupare le prime pagine dei giornali. Non è più una novità. Figurarsi se può comparirvi quella in Yemen, che nuova non è per nulla. Dura da sette anni, con centinaia di migliaia di morti. È in fondo solo, secondo l’Onu, la peggiore catastrofe umanitaria del mondo, con tre milioni di profughi interni, mentre tre su quattro yemeniti campano grazie agli aiuti umanitari. Le cose andranno anche peggio. Dallo scorso marzo le Nazioni Unite annunciano la “catastrofe totale” per l’aumento dell’insicurezza alimentare, effetto della guerra nel paese e dell’invasione russa dell’Ucraina, che ostacola le forniture. Una fragile tregua è in corso.
Un altro tema, oltre a quello del grano, unisce le due guerre: la crisi energetica causata dal taglio alla fornitura di gas dalla Russia. Lo Yemen è all’imboccatura del Mar Rosso. È interesse di molti che non sia ostacolato il movimento delle navi che transiteranno in numero crescente per raggiungere, attraverso Suez, il Mediterraneo.
Petrolio e gas sono pure presenti nel più povero paese della penisola arabica. Dieci anni fa l’export di petrolio e gas naturale rappresentava il 63% delle entrate governative e l’89% di quelle derivanti da esportazioni. La guerra ha significato declino della produzione, stop all’esplorazione delle riserve, sabotaggi a oleodotti e gasdotti, saccheggio del petrolio estratto. Una faticosa ripresa appare in corso, anche grazie alla tregua. La Francia ha deciso di tutelare i propri interessi con l’invio della Legione straniera. L’impianto di Balhaf, di proprietà della TotalEnergies SE, deve essere protetto fino a quando sarà di nuovo in grado di fornire gas liquefatto alla Francia e, forse, ad altri Paesi europei. Così leggo su Il Manifesto.
La Légion étrangère è un corpo d’élite ben collaudato, ma avrà i suoi problemi nel portare a termine il compito. L’impianto di Balhaf è controllato dalle milizie degli Emirati. Fin qui hanno tenuto alla larga i combattenti Houthi. C’è un accordo recente per la cooperazione energetica tra Francia ed Emirati per la produzione congiunta di gas liquefatto. Le cose sul terreno non procedono con la stessa linearità. Abu Dhabi, alleata sia di Riad che di Parigi, ha però propri interessi in Yemen, sostengono il Consiglio di transizione meridionale e altri gruppi separatisti, che promuovono uno Stato indipendente nel sud del paese. E ci sono stati scontri con le truppe governative non lontano dall’impianto. Crescono pure le lotte tra gli Houthi per il controllo del territorio, il saccheggio dei beni, il contrabbando. La situazione è instabile e complessa. Il peggio, come spesso avviene, è per i bambini.
Secondo Save the Children, la tregua ha rappresentato un cambiamento positivo per i piccoli yemeniti. Rispetto ai quattro mesi precedenti l’entrata in vigore, i bambini feriti o uccisi sono diminuiti del 30%. Sono comunque trentotto nell’ultima settimana di tregua di luglio: il numero più alto di minori colpiti in sette giorni dall’inizio del 2020. Poi la tregua è stata prorogata. Speriamo che per i bambini, almeno, vada meglio. Ma non sono solo vittime, sono spesso vittime e carnefici a un tempo. Tra ottobre 2019 e febbraio 2021 si stima siano morti 2mila bambini soldato. Vengono prelevati dalle famiglie, nelle scuole, nei campi estivi e nelle moschee, con la scusa di frequentare una scuola culturale o dietro la minaccia di essere privati degli aiuti umanitari. Più di 10mila sarebbero stati arruolati dagli Houthi dall’inizio della guerra, secondo il rapporto “Militarizzare l’infanzia” pubblicato il 12 febbraio 2021, Giornata internazionale contro l’uso dei bambini soldato, dall’Osservatorio euromediterraneo dei diritti umani e da SAM per i diritti e le libertà. Non va certo meglio alle bambine esposte a ogni violenza e discriminazione, sia per legge che per tradizione. Il rapporto del Global Gender Gap Index del 2022 tace sullo Yemen, ma nel 2021 lo indicava come il secondo peggior paese del mondo per divario di genere. Forse il primato spettava già allora all’Afghanistan, il peggiore nella classifica di quest’anno.
La famigerata Legione straniera, forza mercenaria simbolo del colonialismo francese, scrive Il Manifesto. È senz’altro così. Ma io da fanciullo ne ho un’immagine leggendaria, confermata dalla visione di film, piuttosto brutti in verità. Perfino ora mi viene da pensare all’amato Pisacane, legionario per un breve periodo. È quasi un bambino soldato: nato nel 1818 entra a 13 anni alla Nunziatella. A vent’anni è ufficiale del genio. Interrompe la carriera militare per la relazione con una donna sposata. Fugge con l’amante a Marsiglia, Londra, Parigi. Sono perseguitati dalla polizia. Nel 1847 si arruola nella Legione straniera, che abbandona nel 1848 per partecipare alla prima guerra di indipendenza. Preferisco la sua storia a quella dei nipoti di Garibaldi, tutti figli di Ricciotti: Peppino, Sante, Bruno, Costante, Ezio. Impazienti, sono intervenuti nella guerra già nel 1914, convinti – non erano i soli – di star completando il Risorgimento. Io apprezzo piuttosto l’intransigente lotta per la pace di Matteotti. Peppino ha comandato la Legione garibaldina, inserita nella legione straniera. Bruno e Costante sono caduti in battaglia. Sotto la giacca d’ordinanza i duemila garibaldini portavano la camicia rossa.
Anche in altri piccoli interventi (ottobre 2018, aprile 2019, febbraio 2021) ho sognato che i bambini yemeniti potessero trovare un tempo e uno spazio per essere tali, per giocare, essere felici. Anche in questa occasione mi concedo un sogno. Mi viene da pensare i bambini che seguono la marcia dei legionari, imitandone il passo: sono ottantotto passi al minuto, contro i centoventi dell’esercito francese e pure di quello italiano. È più marziale. Segno di calma e di forza. Marciano a tempo, anche le bambine. Anzi sono loro ad avere più attenzione alla cadenza. Dopo l’avanti marc’! al primo passo! io ero già fuori tempo. Poi finalmente ballano. Forse non ne hanno bisogno, ma un buon suggerimento viene da Stanlio e Ollio, legionari speciali.
(immagine tratta da qui)