Il tema della pace riassume qualsiasi altro
Cesare Zavattini
Valentina Fortichiari, profonda conoscitrice degli scritti di Cesare Zavattini, ha curato la “LA PACE Scritti di lotta contro la guerra”. La Festa dell’Unità di Bologna di domenica scorsa dedica un momento di dibattito al tema. Partecipo anch’io.
Non è vero è il grido che, per Cesare Zavattini, ripudia la guerra. E ci riesce, secondo il realismo magico dei suoi racconti. Così in Straparole “16 giugno 1940. In piazza Venezia mentre il Duce annunciava la guerra un certo G. lo interruppe gridando non è vero. Fu lui che impedì la guerra. Io gli ho parlato a lungo ed era un uomo di media cultura, sposato nel ’35, con un bambino di quattro anni; gli ruppero il setto nasale e strappato una manata di capelli che non gli sono più ricresciuti. Attualmente gestisce una fabbrichetta di sapone a Iseo”.
Il ripudio della guerra potrebbe aprire a una realtà migliore, come quella raccontata in “Totò il buono”. Scritto per i figli e pubblicato nel ’43, ispira il film “Miracolo a Milano”.
Una realtà migliore appare possibile nel dopoguerra. Sempre in Straparole: “La rivoluzione, 31 luglio 1945. Nel mio quartiere se passa un ricco i ragazzi scalzi gridano ri-vo-lu-zio-ne fingendosi col pestare i piedi pronti all’inseguimento”. Sempre non è vero è efficace nei confronti di una politica subito inadeguata. “Una volta contavo di fondare un’associazione di giovani che avrei allevato nel sospetto, anzi nell’incredulità; li avrei disseminati per i comizi, affinché interrompessero gli oratori gridando: non è vero”.
Buona idea, ma ci vuole altro. Lo sa Capitini che propone i Centri di Orientamento Sociale della nonmenzogna. Sono l’alternativa ai comizi. Ci si va per ascoltare e parlare. Non l’uno senza l’altro. E i temi vanno dalle patate agli ideali. Ci vogliono tutti. Zavattini è molto attento all’iniziativa.
Il tema della pace accomuna Aldo e Cesare. Questi già nell’ottobre del ’51 pensa ai cinegiornali della pace e a un grande lavoro culturale profondo e diffuso. Nel 1955 a Helsinki ha il Premio del Consiglio mondiale della Pace con sede a Vienna. Zavattini è già in contatto con Capitini. Interessante è il loro scambio epistolare e il reciproco dono, con dedica, delle loro pubblicazioni. Il 7 luglio 1950 scrive ad Aldo “Ti appoggerò con tutte le mie forze”. Si intensificano i contatti nel ’61, anno della prima marcia Perugia-Assisi. Lo ritiene un messaggio da rendere permanente. Pensa a un Giornale della Pace, una rivista quindicinale, lito, di 64 pagine, da pubblicare con Mondadori, con direttore Aldo Capitini e qualificati collaboratori: De Benedetti, Vittorini, Quasimodo… Capitini ne ha pronto il titolo: “Pace risponde”. Zavattini progetta pure un grande volume, “Problemi della pace”. Sono generosi propositi che non hanno attuazione.
Ne sentiamo l’eco sempre in Straparole.. “Non bastano delle rondini come Bertrand Russel, il nostro Capitini e qualche altro per riscattare una generazione di intellettuali. Alcuni dei quali continuano a fare delle opere magari stupende e che contribuiscono ovviamente, in forme più o meno dirette, a prendere coscienza anche della pace come atto supremo e costante di responsabilità, però non affrontano il problema di petto. (…) Sarebbe un fatto importante e meraviglioso come il volo sulla Luna se per un anno intiero gli intellettuali non s’occupassero d’altro che di capire il problema della pace, di studiarlo, di farlo capire, di farlo studiare, di approntare delle specie di tavole sinottiche attraverso le quali si vedano le più segrete ramificazioni del problema, ramificazioni che raggiungono gli individui e la società nei momenti più impensati della loro esistenza”.
Capitini muore nel ’68. Il suo Attraverso due terzi del secolo può considerarsi il bilancio dei suoi esperimenti con la verità, secondo il detto di Gandhi. Cesare muore nel 1989. Ha più tempo e fa più bilanci. Un bilancio non confortante è in “La notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini”. Nel “postscriptum più lungo dello scriptum” troviamo vari appunti. Il numero 6, ad esempio, comincia così: “Per tanti anni un intero popolo è stato stupido, salvo poche eccezioni di cui non facevo parte. La nostra tragedia è imperniata sulla stupidità, rivela la stupidità”. I trent’anni passati dalla Liberazione non ci hanno reso più consapevoli. Anzi! L’appunto 70 ribadisce in apertura “che il nostro paese è maturo non da oggi. Lo era dal 1945, per assumere una responsabilità politica di sinistra vera e propria. Le fasi e parentesi liriche, ‘repubblicane’, socialiste, socialdemocratiche, sono state bruciate da trent’anni di regime prevaricatore”.
“Stricarm’ in d’na parola” – “Stringermi in una parola”, è la miglior definizione di poesia che io conosca – raccoglie le sue poesie in dialetto. Ritroviamo il tema della pace e della guerra in vari punti. È esorcizzata nell’attacco de “La guèra / La guèra l’an ghé mai stada! / Mé a l’o invantada! / Am suced quand a bev”. Dire “abbasso” non basta e l’età lo rende difficile. “Cumplean / Abàs la guera abàs! / A siom d’acord da tanti an, abàs. / Ades ch’ié stanta, / s’al sbrai trop fort / am ve sö an po’ ad catar / e pensi a la me mort”. C’è il ricordo delle manifestazioni: “Basta! / Invern e istà / a sa m’avdeva sempr’in di cortei / sota cartei cm’insema scret basta! / A intreciava i bras / cun om cun doni ad töt i età / sensa dmandarg’ al nom, / e andaum”.
Alla biennale di Venezia del 1982 presenta il suo unico film come attore, soggettista, sceneggiatore, regista “La veritàaaa”. Consiglio di guardarlo fino ai titoli di coda. E anche quando i titoli di coda finiscono. Fino alla chiusa “Ma non ci sono dei manuali, dei libri per insegnare la Pace! C’è da…, c’è da scrivere meno… Anzi: da non scriverla! Scrivere meno e organizzare di più. E guardandoci negli occhi! Imparando di generazione in generazione, con la pazienza della fede, proprio, i linguaggi, la logica!!, che è la vita stessa! Inventare la vita… E guardate che non c’entra la bontà. Guardate la bontà non c’entra! Bisogna cominciare dal feto, altrimenti la pace non ci sarà mai. In eterno!”
Lo stesso anno l’ottantenne Cesare riceve l’Ordine dell’amicizia tra i popoli, conferito dal Soviet supremo dell’URSS. Due anni dopo, con apprezzamento “bipartisan”, Il premio Alcide de Gasperi.